Recensione: Panico da Pecora
Recensione basata sul modello Rules-Play-Culture.
RULES (le regole del gioco)
Condizione di vittoria: c’è un gregge di pecore, due pecore per ogni colore più l’immancabile pecora nera; ogni giocatore o giocatrice fa punti riconfigurando il gregge secondo quattro diversi obiettivi posizionali. Chi fa più punti vince.
Gli obiettivi si basano sulla posizione relativa delle pecore nel gregge. Il gioco ha quattro fasi e c’è un obiettivo diverso in ogni fase. Fai punti a seconda di dove si trovano le pecore del tuo colore.
Due obiettivi danno un punteggio individualmente: le tue pecore devono essere vicine tra loro nella prima fase e vicine alla pecora nera nella terza fase.
Due obiettivi danno un punteggio collettivamente: nella seconda fase le pecore più avanti nel gregge possono accoppiarsi per prime con l’ariete (!) e così fare più punti, mentre nella quarta e ultima fase le pecore più indietro nel gregge si sentono più al sicuro e fanno più punti perché la prima fila deve sottoporsi alla spaventosa procedura di tosatura ed essere dunque rimossa dal gioco.
A ogni turno si può scegliere una mossa da un insieme prefissato di opzioni usa-e-getta (cose come «ruota il gregge di 90°», «spingi una fila di pecore», «salta una colonna di pecore» ecc.) e non è facile fare la cosa giusta. Le mosse già fatte sono marcate ponendo segnalini su un tabellone.
PLAY (l’esperienza di gioco)
Il clima del gioco è comico: piani contrastanti in uno spazio limitatissimo risultano in un’enorme confusione, il che sostiene il tema del gregge.
Fondamentalmente, gran parte dell’esito di una partita è decisa nella fase di tosatura; ma va bene, considerata la leggerezza del gioco. Ciò che va meno bene secondo me è che ricordare il significato delle mosse non è facile per i giocatori occasionali, anche se è proprio a questo tipo di giocatori che Panico da Pecora sembra rivolgersi. Inoltre, le regole per ricomporre il gregge quando si separa sono troppo complesse per un gioco da famiglie.
È un piacere toccare e muovere le pecore, grazie alla qualità notevole dei componenti.
CULTURE (la cultura dietro il gioco)
I componenti di gioco sono carinissimi: miniature pesanti, molto più grandi del necessario, modellate e pitturate con cura: sembrano statuette. Ci sono anche miniature di Roger l’Ariete e di una pecora che ne tosa un’altra (pensavo che fossero gli umani a tosare le pecore, ma tant’è).
Nella versione originale in inglese, abbondano i giochi di parole, partendo dal titolo stesso: Shear Panic, un gioco di parole intraducibile tra «shear» (tosatura) e «sheer panic» (panico totale), che suona come «panico da tosatura». E in effetti esiste un panico da tosatura a un certo punto del gioco. Lo specifico lessico ovino si presta a freddure: qui darò solo l’esempio «Ewe Turn» (inversione a U, ma «ewe» è un altro nome della pecora). In italiano si perdono quasi tutti.
Per qualche motivo, i greggi di pecore sono un tema ricorrente nei giochi da tavolo. Parte del suo fascino è dovuto ai concetti dei pascoli e dei pastori, completamente assenti in questo gioco. Un altro elemento chiave è l’archetipo della pecora nera, che anche qui è ampiamente sfruttato.
Ma quello che Panico da Pecora fa meglio è esplorare il concetto di un gregge compatto, caotico, in perpetua riconfigurazione. Se avete mai osservato un gregge di ovini ora capite che cosa stanno combinando quando continuano a scambiarsi di posto e darsi spintoni: stanno giocando a questo gioco.
Questa recensione è stata originariamente pubblicata sul mio profilo BoardGameGeek nel 2014. È stata rieditata nel 2023 per adattarsi al formato della serie di analisi dei giochi da tavolo Rules-Play-Culture su questo sito Web.