In memoria di Valerio Evangelisti
Dopo un grande, sbigottito dispiacere, il primo pensiero che ho avuto quando ho saputo della morte di Valerio Evangelisti è stato per la comunità straordinaria e inverosimile di amici, compagni, pensatori, lettori, creativi, giocatori, fissati, pazzoidi assortiti che si è raccolta negli anni attorno a lui. Sono quelli che lo chiamavano e continueranno a chiamarlo «Magister» come il suo alter ego oscuro, l’inquisitore Eymerich. Ho avuto il privilegio di conoscerlo e di conoscerli, ma in vero spirito evangelistiano era un privilegio a buon mercato, accessibile a tutti: bastava iscriversi alla mailing list o andare a una cena o a un raduno di fan, dove spesso c’era anche lui, secco, altissimo e gaudente, che beveva e mangiava e rideva, parlava di stronzate o di massimi sistemi, studiava i nuovi arrivati, come eravamo io e Alessandro Villari tanti anni fa la prima volta che lo abbiamo incontrato, e ci faceva domande e ci chiedeva opinioni. A questo gruppo pazzesco, e anche a me, Valerio ha dato una spinta talvolta decisiva a inseguire passioni improbabili: leggere, per tutti, scrivere, per molti, ma anche disegnare, dirigere film, scrivere sceneggiature, tirare di scherma, suonare e ascoltare heavy metal, fare giochi e videogiochi, fare politica militante, e soprattutto incontrarsi. E da questi incontri è nato di tutto: amicizie, collaborazioni, convivenze o perlomeno amori o perlomeno perlomeno del sesso, litigate furibonde, sbronze e diverse gravidanze.
Nell’eclettica organizzazione della mia libreria, invece di distribuire i libri di Valerio tra le zone dedicate alle varie categorie di narrativa e di saggistica, fantastica e storico-politica, gli ho assegnato uno scaffale tutto suo. In effetti, è l’unico autore di cui possegga così tanti volumi e che spaziano su temi così disparati: la lunga saga di Nicolas Eymerich, naturalmente, che parla del Trecento europeo e praticamente di ogni altra epoca e luogo, ma anche lo sviluppo del Messico moderno, la storia del sindacalismo e del comunismo americani, la nascita del movimento operaio italiano fino alla lotta di Resistenza, la pirateria caraibica, le lotte risorgimentali, il cupo futuro che ci aspetta se le tendenze più reazionarie e distopiche del capitalismo prevarranno… e molto altro. La fantasia di Valerio era vulcanica, i suoi interessi sconfinati, ardente la sua passione nel leggere romanzi, racconti, saggi, fumetti, articoli e nel guardare film, filmetti, filmacci (soprattutto filmacci), telefilm o serie TV, cartoni animati e nel rielaborare e reinventare tutto questo immaginario nei suoi mondi multipli, nelle sue saghe tentacolari e interconnesse.
Una volta ho chiamato «paranormale di massa» una caratteristica che ricorre nella letteratura di Evangelisti: la rottura dell’ordine del mondo fisico operata da una sovrastruttura culturale condivisa tra una massa di donne e uomini; ciò che avviene di magico, di impossibile in quelle sue storie che appartengono al genere fantastico è frutto di un immaginario collettivo che acquisisce la forza di una realtà materiale. Ma lo stesso, a ben pensarci, avviene nei suoi romanzi storici e addirittura… nei suoi saggi. Le idee che fanno presa su una massa e la smuovono, meglio, le idee che una massa umana sviluppa nello scontro tra i suoi bisogni e le sue sofferenze, diventano una forza materiale, e cambiano il mondo quasi magicamente. Le idee del popolo sono l’incanto del mondo.
Valerio era un comunista e un rivoluzionario. Giova ribadire, a rischio di pleonasmo, entrambi i concetti, per evitare fraintendimenti. Non era un comunista “nel cuore”, “nei simboli”, ma proprio un compagno concretamente convinto che il capitalismo un giorno, forse neppure troppo lontano, potrà finire ed essere intelligentemente sostituito con un sistema più umano in cui, come disse, «la classe operaia deve dirigere tutto». E non era un rivoluzionario “di indole”, “culturale”, ma proprio un compagno che si chiedeva il modo preciso in cui andasse organizzata la trasformazione della società odierna in quell’altra, che studiava come l’assalto dei proletari al cielo fosse stato tentato e fosse fallito mille volte. E credo non ci sia un libro delle decine che ha pubblicato in cui questo tema non sia intrecciato inestricabilmente a quello della contraddizione più antica e cruenta e intollerabile: l’oppressione crudele delle donne nei secoli. Questi aspetti vanno ricordati perché se nei libri di letteratura del futuro Valerio sarà, come credo, canonizzato come un grande romanziere di genere del tardo Novecento e di inizio Duemila, sicuramente si cercherà di ridimensionare la sua idea politica a una delle tante fonti d’ispirazione del suo spirito poliedrico, cosa che senz’altro era ma che sarebbe ingiusto banalizzare. Evangelisti era un marxista e tutta la sua opera è imbevuta della concezione che la lotta di classe è ciò che plasma la storia, sia la grande storia sia le piccole storie individuali e familiari, soprattutto di lavoratori e contadine e disoccupate e poveracci, di cui traboccano i suoi libri. E se non vi sta bene, arrangiatevi, direbbe forse con quel suo ghigno che ci mancherà.
Era malato da tempo, ne aveva anche parlato in un libriccino autobiografico. Tuttavia, gli amici che lo frequentavano di più mi dicevano che sembrava stare meglio, e proprio non pensavo morisse così. Mi ero fatto l’idea che sarebbe stato malaticcio per decenni e sarebbe morto malconcissimo a cento anni esatti. Ha lasciato così tanto che è come se cent’anni li avesse vissuti comunque, ma è un dolore sgradevole, senza niente di solenne e consolatorio, sapere che non c’è più. Se la sua concezione del mondo ha un qualche senso, sta ora a noi superstiti far sì che quell’immaginario collettivo che ha scolpito in vita continui a smuovere il mondo.