L'armadio dell'imperialismo trabocca di scheletri
L’arresto a Londra di Julian Assange, fondatore di Wikileaks, è chiaramente il risultato di una montatura. L’utilizzo di due donne svedesi (una delle quali collegata a gruppi anticastristi cubani) e dello stesso sistema giudiziario svedese per incastrarlo con una farsesca accusa di molestie dimostrano, certamente, che gli Stati Uniti sono disposti ad utilizzare mezzi molto meschini per punire chi li ostacola.
Sono però metodi alquanto primitivi e sbirreschi, che non sembrano all’altezza della situazione, così come gli attacchi DDoS, la cancellazione del nome di dominio, la terminazione dell’hosting, il blocco dei versamenti online… Tutte mosse palesemente “suggerite” dal governo statunitense a zelanti individui o grandi aziende multinazionali (Amazon, PayPal, Visa, MasterCard) in quella che Assange ha definito “la privatizzazione della censura”, che non hanno dato grossi problemi a WikiLeaks. Il sito non solo è risorto in un batter d’occhio, ma ha anche attirato su di sé un’enorme simpatia e la collaborazione attiva di stuoli di attivisti sia online sia… offline (“nel mondo reale”). Tuttavia tali azioni dimostrano quanto il “libero mercato” non sia affatto libero, ma sotto il ferreo controllo della borghesia imperialista.
Che cos’è WikiLeaks? In parole povere, è un sito che pubblica fughe di notizie, dopo averne verificata l’attendibilità e proteggendone le fonti, esattamente come fanno tutti i giornali, ma mettendo a disposizione i documenti originali.
Elencare tutti gli scoop di WikiLeaks sarebbe impossibile. Nel 2007 WikiLeaks ha pubblicato il manuale delle torture di Guantanamo Bay. Nel 2008-2009 ha diffuso la lista completa degli iscritti al partito fascistoide britannico BNP e documenti interni della potente setta religiosa Scientology. Nel 2010 ha iniziato a rilasciare materiale sulle guerre in Afghanistan ed in Iraq, inclusi migliaia di rapporti militari che mostrano la complicità dell’esercito nordamericano con le atrocità contro i civili, la sua corruzione nei rapporti con le autorità locali e la sua spregiudicatezza nella conduzione delle operazioni. Il 29 novembre ha cominciato la pubblicazione di 250mila comunicazioni riservate tra la Segreteria di Stato e le ambasciate USA di tutto il pianeta. Ogni giorno ne vengono rilasciati un centinaio, in collaborazione anche con 5 grandi quotidiani occidentali; con questo ritmo ne avremo per anni!
In Italia la vicenda è stata trattata con estremo provincialismo. A leggere la nostra stampa sembrerebbe che l’imbarazzo principale per gli Stati Uniti siano i giudizi taglienti sui vari leader mondiali: Berlusconi dissoluto, Gheddafi paraonico, Sarkozy permaloso, Medvedev succube di Putin. Se fosse tutto qui, sarebbe davvero la scoperta dell’acqua calda.
A dire il vero, anche sull’Italia ci sarebbero stati spunti più interessanti. Si dice per esempio [si cerchi 09ROME1187] già nell’autunno 2009 che all’interno del Pdl c’era chi stava lavorando per “il dopo” perché erano in corso delle manovre per la rimozione di Berlusconi (in cui secondo Berlusconi stesso erano implicati i servizi segreti oltre che vari “poteri forti”). I diplomatici americani registravano con attenzione l’insofferenza verso Berlusconi della borghesia e dello stesso imperialismo americano, stufo dei rapporti preferenziali con Putin che danneggiano gli interessi economici e geopolitici statunitensi [09ROME97].
L’immagine che emerge è quella di un’ambasciata USA che si permette colossali ingerenze in Italia. Un cablogramma interessante [10ROME87] e pochissimo commentato racconta di tre incontri, avuti a gennaio in Italia da rappresentanti di Washington, sul tema delle sanzioni contro l’Iran: il primo, più ufficiale, con esponenti del governo di centrodestra; il secondo, con Piero Fassino in rappresentanza del Partito Democratico, che ha assicurato sostegno alla politica nordamericana contro l’Iran, alla guerra in Afghanistan e alla “stabilizzazione dell’Iraq”, dicendo però che forse il governo Berlusconi non è affidabile nel portare avanti gli interessi USA; il terzo, con rappresentanti dell’ENI, che a quanto pare hanno dovuto “giustificarsi” per le loro attività commerciali in Iran – la misteriosa fine di Enrico Mattei, d’altronde, mostra cosa può capitare a un dirigente ENI che prenda troppe iniziative.
Una simile arroganza imperialista si può riscontrare in molti altri casi. Per esempio, è emerso come Hillary Clinton abbia ordinato di spiare i diplomatici stranieri alle Nazioni Unite e lo stesso Ban-Ki-Moon, acquisendone anche indirizzi e-mail, carte di credito e password [09STATE80163].
Molti nostri lettori non si stupiranno scoprendo che anche la doppiezza è una caratteristica di tutta la diplomazia USA. L’ambasciatore in Honduras per esempio sapeva benissimo che il golpe Micheletti del 2009 era, appunto, un golpe, ma le dichiarazioni pubbliche di Obama sono state molto più tiepide [09TEGUCIGALPA645]. L’ambasciatore a Kabul discuteva con rappresentanti del governo Karzai su come far passare sotto silenzio lo scandalo dei “bambini danzanti”, minorenni travestiti da donne e fatti prostituire per i mercenari di Blackwater [09KABUL1651].
Non è possibile parlare di tutti i cablogrammi e rivelazioni importanti verranno sicuramente nei prossimi mesi. Meritano di essere menzionati però almeno quelli che riguardano l’Arabia Saudita, storico alleato degli USA, coinvolta – come avevamo analizzato su questa rivista – in una dura battaglia per l’influenza in Medio Oriente (e specialmente in Iraq) contro l’Iran. Nel maggio 2008 i sauditi avrebbero insistito affinché gli Stati Uniti dessero il via libera ad un’offensiva militare contro Hezbollah in Libano, appoggiando una coalizione di Stati arabi “con la copertura dell’ONU” attraverso la missione UNIFIL: una lezione anche su come l’ONU e la missione UNIFIL vengano viste da costoro (il compagno Grassi invece sostenne in parlamento nel 2006 che UNIFIL era una missione di pace…) [08RIYADH768]. I guerrafondai sauditi hanno anche fatto pressioni su Washington perché sferrasse un attacco all’Iran, sostenendo che se i persiani si forniranno di armi nucleari lo farà anche l’Arabia Saudita [08RIYADH649]. Nella politica interna, la monarchia assoluta teocratica saudita predica bene e razzola male; il console a Gedda non può che registare come la sharia valga solo per i sudditi proletari, mentre i ricchissimi principi si danno a festini a base di alcool, droga e prostituzione con la complicità della polizia religiosa [09JEDDAH443].
Le nuove tecnologie forniscono strumenti importanti per diffondere informazioni scomode per i potenti e i rivoluzionari devono imparare ad usarle. L’esperienza tuttavia dimostra che questo non è sufficiente. Molte informazioni sono disponibili, ma non per questo raggiungono ampie masse oppure sono difficili da interpretare correttamente; questo lo si sta vedendo con la riduzione a gossip di molto del materiale rilasciato da WikiLeaks. Non crediamo all’eroe isolato che sfida il potere, ma all’azione collettiva. Il ruolo delle organizzazioni politiche nel dare visibilità di massa a queste informazioni resta cruciale, così come quello di movimenti di attivisti e militanti che sostengano i coraggiosi che rompono la censura e che li difendano dalla repressione.
Nel primo decreto del potere sovietico dopo la Rivoluzione d’Ottobre era scritto: “Il governo abolisce la diplomazia segreta ed esprime, da parte sua, la ferma intenzione di condurre tutte le trattative in modo assolutamente pubblico, davanti a tutto il popolo, di cominciare subito la pubblicazione integrale dei trattati segreti confermati o conclusi dal governo dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti”. Mostrare al popolo i segreti diplomatici di re, tiranni e borghesi è da sempre parte della tradizione rivoluzionaria. La segretezza negli affari di Stato è sicuramente utile in alcuni casi, ma diventa cruciale e inviolabile solo quando si tratta di difendere la ipocrisia ufficiale, solo quando i comportamenti occulti dei governi sono opposti alla loro facciata pubblica. I segreti di un governo che facesse davvero l’interesse della maggioranza sarebbero segreti insignificanti e la loro eventuale pubblicazione sarebbe innocua. I governi che temono WikiLeaks hanno qualcosa di grave da nascondere.
Questo articolo è stato pubblicato su FalceMartello.
A conferma di quanto scrivevamo io e molti altri nel 2010, Julian Assange, rifugiatosi nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per anni, è stato rapito nel 2019 da agenti del Regno Unito e incarcerato in attesa dell’estradizione negli USA: non certo per le accuse di molestie, che nel frattempo sono cadute nel nulla, ma per aver rivelato i segreti dell’imperialismo statunitense.