Anche da un punto di vista ateo e materialista non si può fare a meno di stendere alcune considerazioni in merito ad un evento “di costume” rilevante per il capoluogo della nostra provincia come la visita di Joseph Ratzinger avvenuta il 21 e il 22 aprile. Vorrei soprattutto raccontare da un punto di vista particolare quel week end così come noi Giovani Comunisti l’abbiamo vissuto; non parlerò di Vigevano perché non abbiamo seguito la questione da vicino, ma ritengo che molte osservazioni generali potrebbero essere applicate anche alla parte vigevanese della visita papale.

Pochi ma buoni?

La prima questione significativa per noi è capire quante presenze sia riuscita ad ottenere la Chiesa cattolica con uno sforzo estremo di pubblicizzazione e di spettacolarizzazione della visita del suo leader. Non abbiamo letto cifre complessive sulla stampa, ma si dice 10mila persone complessive a Vigevano e 20mila presenze alla messa agli Orti Borromaici a Pavia. Quest’ultima cifra non è altro che il numero di posti allestiti dagli organizzatori della messa-show, ma non sappiamo se sia il numero effettivo.

Tre valutazioni ci sembrano più importanti della cifra assoluta, difficile sia da avere sia da giudicare: quella del vescovo, quella dei vaticanisti che hanno seguito l’evento e quella dei commercianti del centro storico.

Il vescovo Poma è il più esplicito: la sua dichiarazione ufficiale si apre dicendo che “La presenza della gente mi è sembrata buona. Più qualitativamente che quantitativamente. […] avrebbe potuto esserci più gente”. Se capiamo bene, sta dicendo che i cattolici a Pavia erano “pochi ma buoni”… magra consolazione, direi, per un’organizzazione come la Chiesa cattolica in Italia che non è molto abituata a considerarsi una “minoranza ben organizzata”.

Anche i vaticanisti intervistati da la Provincia Pavese facevano notare che le misure di sicurezza hanno ridotto le presenze; ci chiediamo però che tipo di fedele sia quello che non va ad accogliere il papa nella sua città per evitare la scomodità delle transenne: probabilmente la decifrazione di queste osservazioni è che i curiosi hanno evitato il centro storico nelle giornate “calde” (e in effetti il parco della Vernavola o l’area Vul erano strapieni, domenica).

I commercianti, infine, pare che siano infuriati con il Comune che li ha indotti ad aspettarsi folle oceaniche che non si sono mai materializzate, con lo strascico di quintali di cibarie e bevande rimaste invendute e di bar e locali rimasti aperti a vuoto fino alle 2 su richiesta del sindaco.

Sembra evidente, insomma, che solo una minoranza della città ha ritenuto importante “esserci”, punto che mette in dubbio l’opportunità delle spese faraoniche sostenute e della rappresentazione della città come una comunità compattamente in attesa entusiastica del pontefice (è su questo falso che si basava l’intera costruzione propagandistica, rafforzata da manifesti di benvenuto e “striscioni di regime” pro-papali, oltre che dalla proibizione formale di qualsiasi manifestazione di dissenso nelle zone di passaggio della papamobile).

Freddezza

Non è condivisibile lo snobismo di chi, come lo scrittore Mino Milani, accusa la cittadinanza pavese di insensibilità perché di fronte a questo “evento storico” in molti hanno sollevato prosaiche lamentele per il fastidio notevole arrecato dalle esagerate misure di sicurezza.

Il fatto è che nel week end si è manifestata l’esistenza di una parte di città a cui la visita di Ratzinger non dava particolari brividi mistici, ma induceva piuttosto una reazione che andava dall’attiva contrapposizione di una minoranza (che noi abbiamo ovviamente cercato di sostenere ed alimentare) fino al fastidio e all’indifferenza di una parte molto grande di popolazione.

Questa “zona grigia”, a cui un papato “militante” come quello di Benedetto XVI fatica a rivolgersi (privilegiando il cattolicesimo organizzato e fanatico), ha trovato ingiustificate le misure adottate per l’accoglienza, e non a torto: le transenne e i controlli polizieschi hanno paralizzato la città per due giorni senza che l’affluenza di pellegrini lo giustificasse, né ciò che nei fatti è avvenuto (una messa, ipocriti incontri ufficiali e i soliti discorsi che sentiamo ogni domenica al TG1) sembra aver alla fin fine confermato la “memorabilità” dell’evento. I maxischermi allestiti per la città sono così rimasti quasi inutilizzati (del tutto quello di fronte al Policlinico) rendendo ancora più vergognosa la spesa pazzesca fatta dagli organizzatori.

Gli unici ad essere veramente iperattivi e raggianti erano i vari gruppi ecclesiastici organizzati come Comunione e Liberazione, che hanno avuto i loro piccoli momenti di gloria come il saluto del finto “rappresentante degli studenti”, il ciellino Stefano Pellegrino (nomen omen), scandalosamente nominato dall’alto a parlare a nome degli universitari pavesi, i quali tuttavia non avevano affatto premiato CL alle ultime elezioni universitarie (e su questo l’UdU ha sollevato una giustissima interrogazione in Senato accademico).

Grandi opere e piccoli disagi

Anche numerosi dettagli fanno notare la logica da “grandi opere” sottesa all’intera operazione.

Si era promesso di ”rimettere a nuovo la città” per l’occasione e questo era ben visto anche dai meno pii; nella pratica, ci si è limitati a ripitturare pochissimi muri del centro e poco altro. Zone degradate della città, cantieri aperti da molto tempo, anche in pieno centro, non hanno ricevuto alcun giovamento dagli interventi speciali che avrebbero dovuto essere innescati dalla visita papale.

Agli Orti Borromaici, dove si sono concentrati i lavori più rilevanti, questi si sono concentrati sull’inutile sfarzo dell’enorme (e orrendo) altare costato qualcosa come 50mila euro. In compenso, la zona dove molti fedeli erano stipati è stata ben descritta da un telegiornale come “un fosso di sabbia da cui non si vedeva niente”; per fortuna le “autorità” accorse a dar mostra di virtù cristiane avevano uno spazio riservato e più confortevole.

Anche i vecchietti dell’ospizio Pertusati pare abbiano dovuto imparare un’amara lezione (che avrei loro volentieri risparmiato) sulla superbia delle gerarchie religiose, visto che il papa che aspettavano di vedere da giorni è passato davanti al loro ricovero a tutta velocità senza nemmeno salutarli. Stringeva il cuore leggere sulla stampa locale le loro reazioni desolate. D’altronde è fin troppo chiaro che anche da un punto di vista simbolico siamo di fronte ad un papato che vuole mantenere una certa distanza dal “popolino”, promuovendo un atteggiamento distaccato dalle masse e un rapporto privilegiato con l’intelligentsija conservatrice o reazionaria. L’idolatria dei sudditi nei confronti del monarca vaticano, che guarda la sua stessa base dall’alto in basso con un atteggiamento da maestrino arrogante, è funzionale a questa impostazione, che se vogliamo è la stessa che sta dietro alla parziale riabilitazione della messa in latino.

Teologia della sottomissione

Joseph Ratzinger a Pavia, oltre a girare per la città inscatolato nella papamobile e a dare occasione a tutti per uno sfoggio di oggettistica kitsch, si è in effetti anche occupato di religione, anche se quello è stato l’aspetto di gran lunga meno importante. Qualche parola va dunque spesa anche su questa faccia secondaria del viaggio papale.

Ratzinger ha tenuto tre comizi (al policlinico S. Matteo, all’università e durante l’omelia agli Orti Borromaici) in cui sono tuttavia ritornati concetti simili e interconnessi. Il livello è sempre stato molto “alto”, per certi versi anche escludente nei confronti del grosso dei fedeli: il papa-teologo parlava agli attivisti dei movimenti confessionali, ai professionisti cattolici e al ceto intellettuale o politico; alle beghine, a chi era lì un po’ per caso e alla gente degli oratori si è ritenuto che potesse bastare la presenza fisica del VIP.

Si sono sprecati i riferimenti a S. Agostino, le cui spoglie sono conservate a Pavia presso la chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro e che è un teorico importantissimo per il pensiero di Ratzinger. Non ci sono stati richiami diretti a fatti di attualità, il concetto che interessava sviluppare a Benedetto XVI era quello del rapporto tra fede e cultura (intesa sia in generale sia più specificamente come cultura scientifica e in particolare medica): la visione propugnata dal pontefice è quella tutta medioevale e antiprogressista del cristianesimo (e quindi in buona sostanza del potere ecclesiastico) come dottrina unificatrice della conoscenza umana, capace di completare e portare a sintesi lo “specialismo” delle diverse discipline e di fatto anche destinata (da Dio stesso) a porre limiti all’applicazione pratica di queste discipline.

La conoscenza laica, dunque, ancella della fede. Concretamente, questo non significa altro che rivendicare un ruolo ideologico dirigente al Vaticano e proseguire la secolare battaglia contro la libertà di ricerca (filosofica, artistica e scientifica).

È piuttosto inquietante che l’università (pubblica) si sia prestata a fare da cassa di risonanza ad un messaggio simile, di fatto negatore del senso stesso dell’esistenza di un luogo come l’Università. Peggio ancora: una bella fetta di baronato universitario (per esempio il rettore Angiolino Stella o l’ex rettore Roberto Schmid) non ha avuto remore ad applaudire dalla prima fila e poi a recarsi ordinatamente ad inginocchiarsi per baciare l’anello di chi l’aveva pronunciato.

Politicanti

Pietoso ed estremamente provinciale è stato il comportamento della gran parte dei politici. Non merita neanche di essere commentata la presenza di Umberto Bossi e di Giulio Tremonti, da cui non ci si poteva d’altronde aspettare molto. Squallidissimo anche il tentativo dei “circoli Dell’Utri” di “mettere la bandierina” organizzando un “concerto per il papa” per sabato sera, circostanza che ha messo in forte imbarazzo la diocesi che si vedeva strumentalizzata politicamente (sono più abituati a fare viceversa). D’altronde lo stile Abelli (avere le “mani in pasta” e farsi vedere il più possibile) fa scuola: il feudatario politico di Pavia, assessore regionale e loscamente “amico” sia del centrodestra provinciale sia del centrosinistra del capoluogo, presenzialista di tutte le inaugurazioni di opere pubbliche, non poteva non essere anche membro, insieme a baroni, sindaci, banchieri e industriali, del comitato d’onore che ha organizzato l’accoglienza al pontefice.
Merita senz’altro un posto di rilievo in questa galleria di baciapile il sindaco di Pavia Piera Capitelli. Se già in campagna elettorale la parlamentare diessina (oggi un’entusiasta del PD) aveva prodotto un volantone che la mostrava durante la Cresima e poi in abito da sposa nel giorno del suo matrimonio religioso, se il primo incontro ufficiale avuto da sindaco era stato con il vescovo, in questa occasione è riuscita a raggiungere nuovi picchi nella sua opera di umiliazione della laicità dello Stato. Non ci riferiamo soltanto ai due comunicati sui giornali locali, dove si dava il benvenuto a Benedetto XVI nel nome di S. Agostino e poi si ringraziava la cittadinanza per aver contribuito a questo “evento storico”, ma anche e soprattutto alla dichiarazione di voler promuovere Pavia come “capitale morale del cattolicesimo” per via della presenza delle spoglie di S. Agostino; la proposta, oltre ad essere ridicola e provinciale (anche se è vero che è stato appena fondato un “Centro Agostiniano” che ci auguriamo non riesca a svilupparsi), non ci sembra precisamente rientrare nei compiti istituzionali di una giunta comunale.

Noto infine che la “sfida” che avevo lanciato sulle pagine de la Provincia Pavese, invitando i politici che si ritengono “laici” a battere un colpo, ha ottenuto ben magri risultati. Nessuna figura con qualche carica istituzionale (si pensi all’assessore dello SDI Roberto Portolan, che in teoria fa parte di un partito che ha fatto della laicità la sua quasi esclusiva ragion d’essere e che non ha nemmeno partecipato alle iniziative laiche organizzate dai suoi stessi compagni di partito!), con l’eccezione dei consiglieri comunali di sinistra Di Tomaso e Campari, si è distinto in alcun modo su questa faccenda. D’altronde in Italia attaccare la Chiesa può essere molto rischioso per la propria carriera politica.

Voci critiche

Fortunatamente anche la Pavia laica, la “Pavia che non è Papia”, si è fatta sentire. Non era facile farlo, perché come si è detto abbiamo subito una restrizione degli spazi e di fatto della stessa libertà di espressione di un’opinione contraria. Attaccare manifesti contro la visita papale era quasi impossibile, solo con un grande sforzo si riusciva a “bucare” i mass media e d’altronde quasi tutte le strutture politiche organizzate erano in forte imbarazzo ogni volta che le si invitava a fare qualcosa per affermare la propria laicità.

Sabato noi Giovani Comunisti abbiamo ricordato come tutti gli anni l’uccisione di Ferruccio Ghinaglia, fondatore del comunismo pavese assassinato dai fascisti il 21 aprile 1921. Era curioso vedere i compagni deporre un mazzo di fiori rossi sul suo monumento e cantare col pugno alzato Bandiera Rossa l’Internazionale in un momento in cui ogni assembramento con bandiere e canti veniva sospettato di papismo…

Subito dopo ci siamo recati all’assemblea laica unitaria, organizzata fondamentalmente dai radicali, alla Sala dell’Annunciata. Tutti i partiti di sinistra avevano sulla carta dato l’adesione (inclusi stranamente i DS che in quei giorni erano in prima fila nella genuflessione al papa!), ma ben pochi dirigenti politici si sono fatti vedere all’assemblea.

Il primo toccante intervento è stato quello di Adele Parrillo, la convivente del regista e produttore Stefano Rolla morto a Nassiriya nell’attentato del 2003 (si trovava in Iraq per girare un film-documentario su quella che la Parrillo ha definito “una finta missione di pace”). Convivente e non moglie: proprio per questo (e probabilmente anche per le sue posizioni sulla guerra, aggiungiamo noi) esclusa dalle celebrazioni ufficiali e diventata “invisibile” e da allora impegnata in una battaglia perché la sua storia d’amore interrottasi così tragicamente smetta di essere nascosta sotto il tappeto dal potere ipocrita dello Stato.

Sono poi intervenuti i professori Valerio Pocar (che ha parlato con grande competenza e sagacia dei problemi della fine vita e dell’eutanasia, affrontati con cinismo e insensibilità dalle dogmatiche gerarchie vaticane) e Luigi Garlaschelli (che in un brillante intervento accompagnato da tabelle e diapositive ha svelato alcuni segreti del mercimonio dei miracoli e dei santi realizzato dalla Chiesa cattolica).

Infine, Mina Welby ha parlato con grande umanità del celebre caso che ha visto suo marito contrapporsi all’arroganza dello Stato e del Vaticano per ottenere perlomeno il diritto di decidere in libertà una morte dignitosa.

Domenica si è tenuto invece il concerto anticlericale al Vul, sulle sponde del Ticino, di cui ha parlato ampiamente la stampa locale (in un articolo che abbiamo già riportato su questo sito) e a cui è stato dato un certo spazio anche in televisione con l’intervista a due compagni dei GC. Le presenze erano superiori al previsto, qualche centinaio di giovani è venuto ad ascoltare l’improvvisato concerto e a visitare i banchetti di materiale politico che avevamo allestito noi e gli altri organizzatori dell’evento. Abbiamo colto l’occasione per conoscere alcuni nuovi compagni molto giovani ed entusiasti e per produrre il nostro nuovo striscione ufficiale che abbiamo poi esibito il 25 Aprile, con la bella scritta rossa Giovani Comunisti Pavia - Federazione F. Ghinaglia.

Lunedì, infine, la Sinistra Giovanile e l’UdU hanno portato decine di persone (tra cui numerosi ragazzi della comunità omosessuale della città) ad una riuscita assemblea con il parlamentare Franco Grillini (presidente onorario dell’Arcigay, dei DS, ma pare non aderirà al Partito Democratico - e d’altronde ci chiediamo con che faccia i Democratici di Sinistra possano pretendere di difendere i diritti civili arrivando addirittura ad una fusione organizzativa con gli ex democristiani della Margherita, tra cui troviamo la fondamentalista cattolica Binetti). I giovani di Forza Italia, a cui forse la presenza del papa nel week end aveva dato alla testa, avevano annunciato una “presenza in massa” della “cittadinanza” per contrastare le opinioni presuntamente anti-famiglia di Grillini (chiamato “la/il on. Grillini” in un delirante volantino omofobo), ma si sono presentati in tre rimediando la solita figuraccia. Forse hanno confuso le leggende giornalistiche, che vogliono dipingere la nostra come una generazione di papa-boy, con la realtà.


Ho scritto questo articolo nel 2007 per il sito dei Giovani Comunisti di Pavia, di cui all’epoca ero il coordinatore provinciale. Ricordo che quella volta facemmo anche un volantino dal goliardico titolo «Poco Dio», dove si spiegava che c’era poca divinità nell’operazione propagandistica di Ratzinger. Eravamo ragazzi…