Risposta breve: sì, infatti il 95% della popolazione non è analfabeta funzionale.

Manifesto della Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa a favore dell'alfabetizzazione di massa

Manifesto della Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa a favore dell’alfabetizzazione di massa

«La rilevazione condotta in relazione all'indagine ALL nell'anno 2003 evidenzia che il 5,4% di popolazione italiana si trova in questa condizione»

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Ora diamo la risposta lunga. Tanto per cominciare, quando si parla di analfabetismo funzionale si sta facendo riferimento al concetto piuttosto vago che nel 1975 l’UNESCO ha formalizzato così:

«Una persona funzionalmente alfabetizzata è chi può intraprendere tutte quelle attività in cui si richiede l’alfabetizzazione per un funzionamento efficace del proprio gruppo e della propria comunità e anche per permettergli o permetterle di continuare a usare la lettura, la scrittura e il calcolo per lo sviluppo proprio e della propria comunità.»

Mi pare che questa definizione definisca ben poco ma ci siamo capiti: un analfabeta funzionale o è analfabeta in senso stretto oppure è uno che non riesce a vivere in società a causa di gravi carenze nella lettura, nella scrittura e nel calcolo. Io non conosco neanche una persona che definirei in questo modo tranne persone con gravi problemi mentali e analfabeti veri e propri, di cui tra l’altro ho incontrato un numero piccolissimo (il 99% della popolazione italiana sa leggere e scrivere); ma mi si dice che nel mio Paese sono la maggioranza o quasi. Sarà vero? Sono dubbioso.

Negli anni Novanta si sono fatte alcune misurazioni dei livelli di alfabetizzazione funzionale in vari Paesi, usando una metodologia rudimentale che si chiamava IALS (International Adult Literacy Survey). La qualità dei risultati è così scarsa che sorgono subito parecchi dubbi. Per esempio la Francia, che nel primo round aveva un punteggio straordinariamente basso, contesta la metodologia e in questo modo ottiene di essere tolta dai risultati ufficiali. Così riassume la grottesca vicenda un paper dell’OCSE:

« This first round of IALS was not without controversy. When results became available in 1995, France was found to
have far higher proportions of its population performing at the lowest proficiency levels (with 75 percent of
the population estimated to be the two lowest levels in the case of the prose scale) than the other
participating countries with the exception of Poland. These results were contested by the French authorities
(Bottani & Vrignaud, 2005, p.39; Kirsch & Murray, 1998, pp.20-21). An independent review of the quality
of the data in IALS was undertaken which found that problems in the design and implementation of the
study threatened ‘the validity of any comparisons of literacy levels across countries’ (Kalton, et al., 1995,
p.14) 3. The seriousness of the problems identified by the independent review was contested, however, by
the project organisers. Murray, et al., (1998) acknowledge a number of shortcomings with survey processes
but find no evidence that these had seriously compromised data quality. Results of the first wave of IALS,
including rankings but excluding French data, were published in 1995 (OECD and Statistics Canada, 1995).»

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Per rispettare il cliché del francese poco incline ad accettare un secondo posto (figuriamoci uno degli ultimi!), questa “umiliazione” genera una serie di studi statistici, alcuni finanziati dalla Commissione Europea, volti a capire come mai la Francia fosse andata così male. Ce n’è uno, per esempio, che già dal titolo attacca l’illusione comparativa, ossia che si possa veramente tradurre da una lingua all’altra un test del genere senza introdurre un bias, un handicap. Nel paper vengono analizzate le domande dove la performance francese è particolarmente scadente ed emergono difetti di traduzione di quattro tipi: omissioni, maggiore precisione della versione inglese (l’inglese è una lingua particolarmente ricca di parole in certi ambiti), errori veri e propri e altri casi. Un esempio che viene fatto della quarta categoria è una domanda su quali film di un elenco siano commedie: in un film non comico compare come attore Michel Blanc che il pubblico francese (ma non quello americano) riconosce facilmente come attore comico, quindi i francesi vengono confusi più facilmente. Cosa misura un test simile? Come spesso accade, la distanza culturale tra chi l’ha scritto e chi lo legge.

Ma c’è un grafico più eclatante nel paper, ed è quello dei raggruppamenti dei profili di risposta. In questo grafico due Paesi o regioni sono messe più vicine se hanno manifestato esiti simili nelle risposte ai questionari:

Distribution of countries by item success hierarchy in the IALS survey

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Pensa un po’, gli svizzeri che parlano francese sono simili ai francesi, mentre quelli che parlano tedesco sono simili ai tedeschi. Olandesi e fiamminghi si assomigliano, così come tutti gli anglofoni. Ci sono anche correlazioni legate alla distanza geografica come si vede nella sequenza Gran Bretagna - Nord Irlanda - Repubblica d’Irlanda. In pratica, questo test non è ben traducibile e quindi i confronti internazionali non valgono un piffero.

Come sono fatti i quiz IALS? Sono disponibili alcuni esempi che mostrano che talvolta (non sempre) si tratta di domande-trabocchetto e puntigli, quiz pensati per mettere in difficoltà le persone più che per metterli di fronte a un compito semplice spiegato con chiarezza. Ecco un esempio di test pilota, non incluso nella versione finale dello IALS ma mostrato come rappresentativo sul sito del National Center for Education Statistics che l’ha prodotto:

Test pilota con immagini di biciclette e persone

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Trascrivo la tabella, tradotta da me in italiano:

TAGLIA APPROPRIATA DELLA BICICLETTA
TAGLIA DEL TELAIO LUNGHEZZA DELLA GAMBA DEL CICLISTA
430mm 660mm-760mm
460mm 690mm-790mm
480mm 710mm-790mm
530mm 760mm-840mm
560mm 790mm-860mm
580mm 810mm-890mm
635mm 860mm-940mm

La prima domanda di esempio, tradotta in italiano, sarebbe: «Che taglie di telaio dovresti considerare se le tua gambe sono lunghe 810mm?». Provate a rispondere.

Se avete risposto una sola taglia, avete fallito il test. Occhio perché rischiate che qualcuno vi tolga il diritto di voto. Per qualche ragione, infatti, è considerato adatto alla vita in società solo chi considera almeno due dei tre telai validi (quelli da 530, 560 e 580 mm). Se uno punta diretto solo a quello più adatto, quello da 53 cm, non va bene. Assurdamente, se uno li menzionasse tutti e sette, inclusi quelli non validi, passerebbe il test, perché conta solo averne nominati almeno due dei tre validi:

«Mention at least TWO of the following»

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Chiaramente, sull’esito di quiz del genere pesano parecchio sfumature linguistiche e sociali, in particolare rispetto al significato del verbo inglese «to consider» e di quello usato per tradurlo. Ricordiamoci che molte domande “di intelligenza” finiscono spesso per misurare l’aderenza del rispondente alle aspettative, spesso arbitrarie, di chi ha formulato il test. Abbiamo spesso visto quiz “di intelligenza matematica” costruiti così:

Qual è il numero successivo della sequenza? 1, 2, 3, ...

Molti potrebbero pensare che chi non risponde 4 sia scemo, perché se la regola è «aggiungi 1» dopo il 3 viene il 4. Ma è proprio così? Si potrebbe rispondere «1, 2, 3, 5», perché 5 è il successivo numero primo. Si potrebbe rispondere «1, 2, 3, 6» perché 6 è il successivo numero che in italiano si scrive con tre lettere. È più in gamba chi risponde 4, chi risponde 5 o chi risponde 6?

Altri test di esempio mostrati nel sito sembrano più ragionevoli, ma non sono per niente immediati e facilmente possono mandare in ansia o nel panico una persona sottoposta alla pressione di un test. Ci sono un bugiardino, molti grafici di statistiche, un pacco di lattine di Coca-Cola scontate (da 2,25$ a 1,80$: che percentuale di sconto è?) ecc.

Tanto per chiudere in bellezza su questo tema, i dati del successivo sondaggio ALL e altri test simili vengono anche pubblicizzati negli USA divisi per “razza”. Ricordiamoci cosa i francesi avevano dimostrato anni prima sulle distorsioni legati alle differenze culturali in questi sondaggi. Vi lascio indovinare quale risulti essere la “razza” più in gamba e vi risparmio il mio prevedibile predicozzo:

«Mention at least TWO of the following»

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Nel 2008 l’UNESCO pubblica un rapporto che contiene, tra molte altre cose, una critica piuttosto dura di questo primo studio. Ecco la pagina dove l’UNESCO quasi demolisce lo IALS:

Critiche UNESCO allo IALS

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Si è passati infatti nel 2003 a un nuovo studio internazionale usando una metodologia migliorata, ALLS (Adult Literacy and Life Skills Survey), che comunque si basa sull’esperienza dello IALS e presumibilmente ne eredita alcuni dei difetti metodologici. Questo secondo studio riguarda solo cinque grandi Paesi, tra cui l’Italia è il più povero: probabilmente questo è il motivo per cui risulta che siamo quelli messi peggio. Partecipano anche le Bermuda e (con un sistema misto IALS-ALLS) uno Stato del Messico, che in effetti va malissimo. La Francia se lo evita.

Ecco i risultati per quanto riguarda ciò di cui solito si parla, cioè la capacità di comprensione della prosa:

Grafico con risultati in ordine decrescente per Norvegia, Bermuda, Canada, Svizzera, Stati Uniti, Italia, Nuevo Leon Messico

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Quindi abbiamo scoperto che dove si è più poveri si è mediamente più ignoranti e che in Italia siamo in effetti parecchio ignoranti, a un livello preoccupante per essere un Paese del G7. Se ne dovrebbe dedurre la necessità di maggiori investimenti nella scuola e in particolare nel rendere la scuola meno classista ed escludente per i ceti popolari. Invece, è andata a finire che se ne sono tratte conclusioni reazionarie su una specie di idiozia generalizzata della classe operaia. Per fare questo salto (ideo)logico, è stato necessario interpretare in modo sbagliato i dati, che non parla affatto di milioni di imbecilli.

Ecco i risultati del campione italiano secondo i vari test:

Grafico con i risultati italiani in Prose, Document, Numeracy e Problem Solving

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Uno sfortunato articolo su Internazionale di Tullio De Mauro, che pure ha scritto anche cose ben diverse, presenta questi dati con un titolo veramente sbagliato: Solo il 20 per cento degli adulti italiani sa veramente leggere, scrivere e contare. Come si vede dal grafico, questa interpretazione è infondata. Il dato più preoccupante nel grafico sono le barre arancione che indicano una percentuale di persone al livello più basso dei risultati compresa tra il 40 e il 50% per le tre competenze di cui parla De Mauro. La quarta, Problem solving, è un’altra cosa e riguarda appunto la soluzione di problemi più complicati.

Ma anche quel 40-50%, è composto da analfabeti funzionali nel senso, per dirla semplice, di gente che non capisce un tubo? No: secondo il testo INVALSI che presenta i risultati, costoro sono “soltanto” il 5%, quindi un sottoinsieme piccolo delle barre arancioni. Chi sono gli altri 95%? gli alfabeti funzionali. Quindi, secondo il test che ha fatto partire la paranoia sull’analfabetismo funzionale in Italia, in Italia non è analfabeta funzionale il 95% della popolazione. Caspita, proprio come avrei detto io ad occhio.

Tra l’altro, va detto che i dati non indicano nei giovani o nelle mezze età la principale fonte del problema, ma, come è ovvio aspettarsi, negli anziani. Probabilmente è anche il grande numero di anziani cresciuti in periodi precedenti al Sessantotto, quando l’Istruzione era più elitaria, a tenere in basso l’Italia nei confronti internazionali. Non c’entrano niente i telefonini, i videogiochi, i social, Berlusconi, le cattive abitudini dei millennial e altri discorsi da bar Sport. Ecco i dati divisi per età e sesso:

Grafico con i risultati per fasce di età e genere

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Da dove nasce, dunque, la cifra immaginaria dell’80% di analfabeti funzionali? Da una frase che compare nel libro INVALSI, questa:

«Gli esperti considerano che la popolazione adulta, che raggiunge almeno il livello 3 di competenza […] è quella capace di rispondere efficacemente alle esigenze di vita e di lavoro del mondo attuale: solo il 20% della popolazione italiana raggiunge o supera quel livello.»

(Nello IALS era il 30%: numeri che variano un po’ a casaccio, come si è visto, ma più o meno siamo lì.)

Negli anni Dieci arriviamo a una terza sigla: PIAAC (Programme for International Assessment of Adult Competencies). L’impostazione di fondo non cambia, come spiega l’OCSE:

«La struttura di misurazione dell’alfabetismo usata per il PIAAC si basa pesantemente su quelle usate per lo IALS e l’ALLS ma ha esteso i tipi di testi coperti per includere testi elettronici» ecc.

Insomma, sempre domande-trabocchetto, telai di bicicletta, statistiche sui fuochi d’artificio, bugiardini dell’aspirina, lattine scontate ecc. Da questi test sempre poco affidabili emerge un quadro più ampio della situazione, soprattutto rispetto ai Paesi OCSE:

Grafico con i risultati del PIAAC

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Anche qui abbiamo risultati diversi da Paese a Paese, ma senza differenze sbalorditive all’interno dell’Occidente, e con uno stacco molto netto solo nel caso dei Paesi economicamente molto meno sviluppati del campione (Turchia, Cile, Indonesia). In fondo alla classifica europea in questo campione troviamo esattamente chi ci aspetteremmo: Italia, Spagna, Grecia. Sbaglio o sono, con l’aggiunta del Portogallo che manca nel campione, i famosi PIGS, cioè i Paesi “spendaccioni e indebitati”, zavorra d’Europa secondo la propaganda che andava per la maggiore durante la Grande Recessione? La narrazione colpevolizzante è già in moto (viziosi e analfabeti!), ma è chiaro che il problema è un altro: sono semplicemente i Paesi più poveri e socialmente compromessi dell’Unione Europea, con l’Italia che supera gli altri tre in ricchezza media solo perché c’è un’enorme differenza tra varie regioni del Paese, ma che poi sconta la sua arretratezza profonda in statistiche come questa. L’Europa Orientale ha performance molto migliori per varie ragioni legate anche alla loro storia: nel blocco sovietico il sistema dell’economia pianificata garantiva generalmente un sistema scolastico e universitario di massa e di qualità fino a tutti gli anni Ottanta.

Si noti comunque che anche questo studio pone l’italiano medio pienamente nel livello 2 di competenza, e abbiamo già visto che neppure quelli al livello 1 sono davvero analfabeti funzionali.

Cosa resta dunque di tutta la storia dell’analfabetismo funzionale, dopo che la si è sottoposta a un’indagine più rigorosa? Ben poco. Semplicemente, nell’Italia contemporanea ci sono nella popolazione vari gradi di competenza lessicale, matematica, logica, proprio come avviene in molti altri Paesi; chi è messo peggio avrebbe solo da guadagnarci, naturalmente, a cavarsela meglio, ma non è tagliato fuori dalla vita sociale, se non per quanto riguarda una piccolissima minoranza composta soprattutto da anziani con problemi mentali; il problema sembra collegato alla condizione socio-economico generale del Paese e dunque, presumibilmente, alla qualità del suo sistema scolastico e universitario.

Sicuramente pensare che esista una statistica clamorosa che “spiega” tutto ciò che non ci piace nella gente è molto rassicurante per un certo tipo di persone. Dà, specialmente al ceto medio moderatamente progressista (l’elettorato tipico del PD milanese, per capirci), la compiaciuta certezza di essere dalla parte della ragione per motivi antropologico-genetici. Che questo tipo di argomentazioni, tipicamente di destra (e infatti ovunque collegate al razzismo e all’odio verso il proletariato “cavernicolo”, i chav britannici o la racaille francese), abbiano sfondato perlomeno nel centrosinistra e talvolta anche a sinistra, è un’ennesima prova del fatto che esiste un grosso problema in Italia: la sinistra di destra.

Abolizione del suffragio universale: «A 50 anni suonati non conoscete la differenza tra 'e' ed 'è' ma pensate di comprendere i virus e la medicina.»

Idee di destra espresse in una pagina che si reputa di sinistra, con tanto di arcobaleno LGBT nell’avatar: abolire il suffragio universale (fascismo o monarchia assoluta), dileggio del popolo che fa errori ortofragici, proibizione per le masse di discutere di questioni di Sanità pubblica durante una pandemia

Il modo più chiaro e netto per schierarsi correttamente quando si sente parlare di analfabetismo funzionale è dire: basta parlare degli analfabeti funzionali! Tagliando con l’accetta: gli analfabeti funzionali non esistono! Più ironicamente: chi parla di analfabetismo funzionale è un analfabeta funzionale! L’analfabetismo funzionale non spiega nulla di significativo sulla società italiana e quindi è una categoria da non utilizzare. Sforzandosi di usarne altre più fondate probabilmente si produrranno analisi più profonde.