Per il libro Ludocrazia. Un lessico dell’azzardo di massa curato da Marco Dotti e Marcello Esposito ho scritto nel 2016 la voce Videogioco.

Ad alcuni anni dalla pubblicazione, lo ripropongo qui nella sua forma originale (anche in PDF).


Videogioco

Interfacce, avatar e filosofia spiccia

Un videogioco è un gioco che usa come supporto fisico uno schermo controllato da un’apparecchiatura elettronica.

L’apparecchiatura elettronica in questione può essere una macchina dedicata a quel particolare gioco o, più spesso, un computer con una versatilità sufficiente perché ci si possa far “girare sopra” diversi giochi. Il computer utilizzato per giocare può essere un normale PC, uno smartphone, un tablet, una console (cioè un computer, solitamente collegato al televisore, specificamente progettato per i videogiochi come le varie PlayStation, Xbox ecc.) o anche un cabinato ovvero un computer con monitor montato su una voluminosa struttura rigida adatta ad essere collocata in bar e sale giochi.

Le differenze maggiori tra queste diverse soluzioni dal punto di vista del giocatore sono soprattutto legate all’interfaccia di input , ovvero ai comandi disponibili per interagire col gioco a schermo: si va da semplici tastiere e mouse ai comandi tattili dei dispositivi mobili più recenti, dai vecchi joystick (levette con pulsanti) ai più sofisticati controller manuali per console che possono anche includere sistemi di puntamento intuitivi come quelli della Wii. Nel mondo delle console e dei videogiochi da sala non è raro usare come interfaccia una piattaforma mobile su cui bilanciarsi stando in piedi o accovacciati, un volante giocattolo del tutto simile a quello di un vero veicolo oppure addirittura, come si può fare con la Kinect di Microsoft, semplicemente il proprio corpo libero i cui movimenti, ripresi da una videocamera, sono riprodotti dentro il gioco.

Per quanto riguarda l’ output , ossia il flusso di stimoli sensoriali che dalla macchina raggiunge il giocatore, le immagini sullo schermo sembrano etimologicamente essenziali per poter parlare di video gioco, anche se esistono audiogiochi adatti anche a chi non vede. In generale quasi ogni videogioco ha una importante componente audio. È frequente anche l’uso di vibrazioni e scossoni, sia sull’apparato di controllo (la pulsantiera di una console o il telaio stesso di uno smartphone) sia, per i videogiochi da sala, tramite i sedili incorporati nel cabinato.

Tratto precipuo di molti videogiochi è l’ immersività. Il videogiocatore sviluppa subito una sensazione viscerale di star controllando il suo alter ego sullo schermo e questa sensazione di controllo evolve rapidamente in una sorta di identificazione. Questa esperienza assomiglia ad una incarnazione e quando l’alter ego dentro il gioco è riconoscibile come un personaggio antropomorfo si parla appunto di avatar , la parola di origine sanscrita che indica una delle molte incarnazioni di una divinità. Talvolta l’avatar è sostituito da un veicolo: un astronave, una macchinina. In altri casi, il giocatore non è incarnato in un personaggio ma è una “mano di Dio” che manipola dall’alto, in un modo comunque immersivo, il mondo del gioco.

Il fenomeno dell’immersione ci parla del funzionamento profondo del cervello e della mente degli umani e di molti animali. Quali sono i confini del mio corpo? Chi sono “io”? Il mio dito è “io”? e quindi un’unghia è parte di “me”? anche se si stacca? e uno sputo è un po’ di “me” che posso proiettare a distanza? quando smette di esserlo? Noi consideriamo come parte del nostro corpo tutte quelle porzioni di universo che sono sotto il controllo della nostra mente, ma quali siano i termini di questo controllo è oggetto di un negoziato continuo. Un braccio “addormentato” ci sembra fuori di noi, ma chi ha perso un braccio continua a sentire “l’arto fantasma”. La capacità dei primati di usare con precisione degli strumenti fa sì che noi e le scimmie percepiamo alcuni strumenti letteralmente come un prolungamento del nostro corpo, sviluppando una vera tattilità indiretta quando per esempio usiamo una forchetta per tastare del cibo. [Frith 2007] Questo vale anche per “strumenti” sui generis come le automobili; se urto un palo parcheggiando, comunemente dico appunto che «ho urtato un palo» e non che «la macchina che stavo guidando ha urtato un palo». La macchina sono io. Meglio: l’auto è il mio avatar sulla strada asfaltata. Si potrebbe fare un’affermazione anche più radicale: quello che chiamiamo “io” non è altro che il nostro avatar nel mondo fisico, è una costruzione mentale senza la quale non saremmo in grado di sostanziare la nostra autocoscienza. Il “senso del sé” non è altro che il senso di controllo su un modello mentale di noi stessi che muoviamo in un modello mentale del mondo esterno. [Metzinger 2009] I videogiochi risuonano con questo aspetto profondissimo della nostra natura, replicando come in una matrioska il rapporto tra mente e sé nel rapporto tra noi e l’avatar digitale. Siamo il pilota di Mazinga mentre Mazinga gioca a Pac-Man.

Immersione e intrappolamento in mondi sbalorditivi

In questo, il videogioco supera la divisione rigida che esiste tra gli sport e i giochi da tavolo. Gli sport sono sì immersivi perché introducono direttamente nel cerchio magico del gioco [Huizinga 1938] il corpo dei partecipanti, ma il mondo in cui immergono il giocatore è un mondo molto simile a quello ordinario, per certi versi anzi è più semplificato e rigido; di contro, i giochi da tavolo permettono di entrare in mondi straordinari, ma al caro prezzo di lasciare fuori dalla porta d’ingresso il proprio involucro di carne. In un certo senso, la mia pedina nel Monopoli o il mio personaggio in Dungeons&Dragons oppure, più astrattamente, il mio esercito negli scacchi o in Risiko o in Axis&Allies, la mia famiglia di contadini medioevali in Agricola, la mia rete di centrali elettriche in Alta Tensione, sono i miei avatar o il frutto degli interventi della mia “mano di Dio”. Sensorialmente, però, non avviene un’identificazione forte che non sia mediata da un intervento cosciente della fantasia. Nessuno quando gli viene mangiata la regina prova la stessa immedesimazione che ha un giocatore di Mortal Kombat quando il suo avatar riceve un calcio in faccia, né un arrocco ben riuscito, per quanto soddisfacente possa essere sul piano emotivo e intellettuale, suscita le stesse sensazioni viscerali di un’acrobazia perfetta con Sonic. I giochi di ruolo dal vivo, che non a caso formano attorno a sé comunità antropologicamente simili a quelle degli appassionati di videogame, sono un altro raro ambito in cui si riesce a ottenere l’immersività insieme alla straordinarietà dei mondi ludici, ma sono pur sempre fenomeni di nicchia rispetto alla vastità della platea dei fruitori di videogiochi (circa 1,2 miliardi di persone [Spil Games 2013]).

L’immersione in un mondo straordinario distinto e distante da quello domestico è tipica del gioco infantile e in particolare della sottocultura preadolescenziale maschile che si è formata nei contesti suburbani a partire dal XIX secolo. Per intenderci: è l’universo avventuroso dei ragazzi che abbiamo conosciuto tramite alcuni romanzi di Mark Twain e nelle strisce dei Peanuts di Mark Schultz; per stare in Europa, sono i giochi violenti dei ragazzi della via Pál e i guai combinati da Gian Burrasca. Contrariamente al pregiudizio conservatore che oppone rigidamente il gioco d’un tempo all’aria aperta al videogioco un po’ masturbatorio praticato nel chiuso della propria stanzetta, il videogioco non è la causa di quella trasformazione, che ha ragioni più profonde di tipo urbanistico e sociologico, ma è semmai una reazione. Il videogioco ricrea in un ambiente digitale e circoscritto le dinamiche di quella subcultura, di cui ha anche ereditato molte pecche legate alla sua connotazione di genere. [Jenkins 1998] Trarre da queste contingenze una drastica condanna moralistica dei videogiochi tout court sarebbe assurdo e perdente. Imparare a vedere il videogioco non come “diavoleria moderna” ma come reincarnazione digitale dell’impulso a reincarnarsi ritualmente in un avatar, una pulsione che di per sé è culturalmente molto profonda e per certi versi atavica, può aiutarci a capire con più lucidità l’uso distorto che ne fa l’industria dell’azzardo.

L’elemento chiave nell’illusione dell’io (e gioverà qui ricordare un leitmotiv ripetuto in quasi ogni saggio di ludologia: illudo etimologicamente significa “gioco dentro”, in-ludo ) è il tempo di risposta. Sistemi che rispondono immediatamente e in modo prevedibile alle nostre sollecitazioni vengono automaticamente incorporate nei nostri confini e percepite come parte di noi. Per questo motivo sistemi con un buon feedback sensoriale hanno un’aura “magica”. Un’interfaccia così congegnata è trasparente e questo favorisce l’entrata dell’utente nello stato di flusso , che è una particolare forma di concentrazione piacevole. [Cooper, Reimann e Cronin 2007] Il flusso è parente stretto della trance inquietante che i giocatori d’azzardo compulsivo chiamano “the Zone” , la Zona. Ciò che risponde lentamente o imprevedibilmente è invece considerato mondo esterno; più specificamente, quella parte del mondo esterno che reagisce velocemente alle nostre azioni ma lo fa in modo “sorprendente” ovvero imprevisto è oggetto di un altro fondamentale processo mentale: il condizionamento operante. Senza scendere nei dettagli, si ipotizza che il cervello (non solo umano) sia spinto all’apprendimento dalla volontà di dominare la sorpresa e che quindi provi interesse non solo per quelle esperienze che hanno un valore intrinseco di utilità e piacere come il cibo o il sesso, ma anche semplicemente quelle esperienze neutre che non avevamo saputo prevedere. Questo è il meccanismo alla base della curiosità e della noia. La curiosità spinge all’apprendimento delle regole che muovono gli eventi sorprendenti. [Avanzi 2014] [Santucci 2014] Questo è stato formalizzato come metodo scientifico, ma a livello neurologico il ciclo curiosità-sorpresa-apprendimento-curiosità è un’attività inconscia e continua della nostra vita interiore.

Un buon videogame è costruito sull’incastro di questi due ingranaggi mentali: l’immersività e la produzione di sorpresa che accompagna il giocatore lungo una curva di apprendimento. Il giocatore controlla il suo avatar e per suo tramite impara a dominare il mondo virtuale in cui si muove. In questo senso, anche i videogiochi apparentemente più diseducativi dal punto di vista tematico sono fortemente educativi dal punto di vista delle capacità psicofisiche che sviluppano. Del resto, molti videogiochi sono anche educativi dal punto di vista dei temi trattati o sono costruiti in modo da favorire il gioco socievole e collettivo, sia di persona sia tramite Internet.

Un buon videogame è costruito sull’incastro di questi due ingranaggi mentali: l’immersività e la produzione di sorpresa che accompagna il giocatore lungo una curva di apprendimento. Il giocatore controlla il suo avatar e per suo tramite impara a dominare il mondo virtuale in cui si muove. In questo senso, anche i videogiochi apparentemente più diseducativi dal punto di vista tematico sono fortemente educativi dal punto di vista delle capacità psicofisiche che sviluppano. Del resto, molti videogiochi sono anche educativi dal punto di vista dei temi trattati o sono costruiti in modo da favorire il gioco socievole e collettivo, sia di persona sia tramite Internet.

Oro nel cerchio magico

Tra tutti i sistemi di input/output, ne esiste uno immersivo in un senso molto speciale che non collega al gioco il corpo fisico del giocatore, bensì il suo corpo sociale. Mi riferisco ai sistemi di inserimento e di restituzione di denaro, che vanno dalla semplice fessura per le monete ai meccanismi più astratti che consentono i pagamenti in-app tramite la propria carta di credito. Se usando come interfaccia un joystick sto mettendo in gioco il mio corpo fisico, con le sue caratteristiche di coordinamento, velocità e resistenza, e le mie facoltà mentali nel controllarlo e soprattutto nell’apprendere come ottimizzare l’interazione con le regole specifiche di quel gioco, quando uso l’interfaccia della fessura per le monete sto mettendo in gioco il mio corpo sociale, nel suo tratto essenziale in questa società ovvero la mia identità economica, con la sua capacità di guadagnare e la sua facoltà di spendere. Le abilità mentali che esercito tramite la mia interazione col doppio orifizio (fessura d’ingresso del giocato ed eventuale cassetto d’uscita del vinto, per i giochi che prevedono una vincita) non hanno a che vedere con la mia esistenza fisica individuale, ma con le relazioni economiche tra me e la società, che hanno nel mio portafoglio il loro mutevole sedimento metallico e cartaceo. Sono le facoltà del cosiddetto “io contabile” ( actuarial self ). [Dow Schüll 2012] Un videogioco senza soldi avrebbe senso anche per Robinson Crusoe da solo, una slot machine richiede che ci sia almeno un Venerdì a cui spillare quattrini.

L’evoluzione delle macchine d’azzardo è intrecciata a quella dei videogiochi tramite le apparecchiature da casinò e da sala giochi. A metà del XX secolo negli USA le slot machine passano dalla forma meccanica pura a quella elettromeccanica; uno sviluppo simile si ha in quei giochi a premi in denaro o in natura basati sulla traiettoria di biglie d’acciaio (dellle quali l’esempio supremo è il pachinko per il quale impazziscono i giapponesi del post-Hiroshima), che spesso sono stati creati proprio per aggirare le legislazioni antislot. Il flipper nasce come figlio di giochi precedenti in cui era richiesta meno destrezza e molta più fortuna. L’abbandono del pittoresco supporto fisico a favore di giochi integralmente simulati a video marca il passaggio da flipper a videgiochi arcade , cioè appunto i cabinati da sala. Simultaneamente anche le rotelle e le leve delle slot iniziano a diventare puramente simulate da monitor e bottoni. Il terreno conteso tra questi giochi d’azzardo e questi giochi non d’azzardo è in parte lo stesso, le ditte produttrici sovente coincidono così come gli installatori, in particolare in Italia è facile notare che lo stesso angolo dello stesso baretto prima ospitava un flipper e un cabinato e oggi macina guadagni molto superiori schierando un paio di slot; le sale giochi dove ancora pochi anni fa gli adolescenti si incontravano e imparavano con l’abilità a far durare 500 lire il più a lungo possibile a Donkey Kong o Bobble Bubble sono diventati luoghi di isolamento individuale dove un euro dura 4 secondi in un gioco dove non è richiesta alcuna competenza tattica o strategica.

All’inizio del XXI secolo una parte importante e crescente dell’offerta di gioco d’azzardo è erogata sotto forma di videogioco. In Italia, le macchinette mangiasoldi non hanno sostanzialmente mai avuto un mercato significativo nella loro originaria incarnazione meccanica, ossia sotto forma di quelle slot machine con la leva che tutti ci immaginiamo ma che pochi hanno mai visto dal vero. In Italia, le slot sono diventate un fenomeno di massa quando in altri Paesi si era già svolta la loro metamorfosi in videogiochi e in particolare in videopoker. Questa metamorfosi è stata importante perché, sebbene non abbia stravolto il funzionamento delle slot che è sostanzialmente lo stesso da più di un secolo, ha dato armi più potenti a chi progetta la dipendenza di massa dal gioco d’azzardo. La superiore immersività delle interfacce elettroniche, combinata con la possibilità di programmare in modo molto più versatile la reward schedule, hanno trasformato centinaia di milioni di persone nelle cavie di un colossale esperimento di intrappolamento digitale.

I videopoker, che sono state la forma caratteristica australiana delle slot machine, per poi dominare fette sempre più ampie del mercato del machine gambling anche negli USA, sono dei videogiochi che simulano una partita di poker con un solo giocatore. Si noti che quest’ultima caratteristica toglie al poker ogni profondità, rimuovendo l’elemento essenziale che rende il poker ludicamente interessante e ricco, ovvero la presenza di altri giocatori coi quali rilanciare, bluffare ecc. Non si tratta nemmeno di giocare “contro il computer”, nel senso di giocare contro un giocatore virtuale simulato come avviene nei giochi cosiddetti “a un giocatore e mezzo”, dove il computer interpreta il ruolo di avversario se non ad armi pari perlomeno ad armi analoghe. [Elias, Garfield e Gutschera 2012] Nel videopoker il giocatore gioca contro il nulla, contro un abisso: se riesce a raggiungere una combinazione valida vince un certo multiplo del piatto, altrimenti il suo denaro viene inghiottito. La curva di apprendimento viene presto esaurita dal giocatore seriale, che raggiunge in poco tempo l’ optimum tattico dopo il quale il gioco è un processo assolutamente meccanico come grattare un Gratta e Vinci. Il giocatore compulsivo di videopoker non sbaglia praticamente mai. Questo naturalmente non gli impedisce di perdere sempre, ma perde nel modo più lento possibile. È una specie di suicidio al rallentatore, che paradossalmente è ciò che il giocatore compulsivo è condizionato a ricercare.

In Italia, le new slot sono state introdotte ufficialmente per rimpiazzare i videopoker semiclandestini che avevano avuto un’elevata diffusione negli anni Novanta. Oggi i videopoker sono stati soppiantati da altre macchine che per legge non possono riprodurre i meccanismi di gioco del poker. Le macchine che dominano il mercato italiano sono le slot multilinea. Come nelle tradizionali slot a linea singola, non c’è nulla da imparare: la strategia messa in campo dal giocatore è subito quella “ottimale”. Esistono motivi profondi per cui la forma multilinea è la più adatta tra quelle finora ideate per incoraggiare il gioco compulsivo: essenzialmente, queste slot favoriscono l’obiettivo patologico del suicidio lento. [Dow Schüll 2012] Le slot multilinea esistono sia in forma fisica, nei bar, nelle tabaccherie e nelle sale slot che hanno penetrato capillarmente gli spazi urbani trasformandoli in casinò distribuiti dall’elevato potere di cattura, sia in forma virtuale nei siti e nelle app di gioco d’azzardo fruibile attraverso il computer, il telefonino o il tablet. Si tratta letteralmente degli stessi giochi, nel senso che il software che gira nei cabinati da bar è il medesimo che gira nelle versioni virtuali. L’unica differenza è che gli orifizi che assorbono il denaro sono là sostituiti dai pagamenti online via carta di credito.

La comunità videoludica, includendo al suo interno non solo gli appassionati ma anche e soprattutto i lavoratori del settore, gli sviluppatori, i game designer , gli artisti che creano la grafica, i suoni e le colonne sonore dei videogiochi, è attraversata da contraddizioni feconde rispetto al rapporto tra i videogame e il loro sottoinsieme d’azzardo, che potremmo chiamare videogambling. Abbiamo conosciuto esponenti di quella comunità che operano per tracciare una linea di separazione netta tra chi lavora per il gioco e chi punta sull’azzardo. [Collettivo Senza Slot 2013] Abbiamo incontrato addirittura appassionati di flipper che hanno in odio le macchine spregevoli che hanno sloggiato dai bar italiani il loro feticcio. Viceversa, la lobby dell’azzardo ha tutto l’interesse a praticare un mimetismo presentandosi come rappresentanti degli interessi del settore videoludico nel suo complesso.

Un fenomeno molto recente è la comparsa di giochi online non d’azzardo che tuttavia sfruttano alcuni dei meccanismi che innescano la dissipazione compulsiva nel giocatore di macchinette. Sono giochi apparentemente gratuiti che usano come piattaforma Facebook o che si installano come app su telefonini e tablet. Premiano il grinding , cioè semplici attività automatiche come cliccare ripetutamente, con piccole ricompense e sorprese, proprio come hanno imparato a fare i progettisti di slot machine. Il modello di business utilizzato è quello degli acquisti in-app che diventano sempre più necessari per proseguire nel gioco; spendendo, si ha un vantaggio decisivo e insostituibile nella prosecuzione del gioco. L’oro entra comunque nel cerchio magico come scorciatoia al grinding ma non come premio. Le grandi aziende che praticano questa forma di manipolazione videoludica sono state giustamente descritte come “parassiti” nell’ecosistema dei videogiochi. [Pedercini 2012]

Gli esempi in un senso e nell’altro (mondo dei videogiochi che resiste o cede alle dinamiche dell’azzardo, azzardo che pratica il mimetismo o l’ibridazione col videogioco non d’azzardo) vogliono dimostrare che non è di facili etichettature per anatemi che abbiamo bisogno. Quel che ci serve è un apparato critico, quel che ci serve è una prassi di bonifica, sovversione e liberazione.

Conclusione e chiamata alle armi

Questa veloce disamina, partendo da una definizione minimale di cosa sia un videogioco, è passata a descrivere le interfacce tra il giocatore e il mondo interno del gioco digitale. Abbiamo visto che queste interfacce permettono di creare giochi ad elevata immersività, nei quali il giocatore si immedesima con un avatar o con una “mano di Dio” che agisce sul mondo del gioco. Questo avviene perché il nostro senso della corporeità e dell’io sono basati sull’illusione del controllo diretto su porzioni di mondo basato sulla rapidità e sulla prevedibilità delle risposte sensoriali alle nostre azioni.

L’immersione in mondi straordinari permette ai videogiochi di combinare i punti di forza degli sport (presenza corporea) con quelli dei giochi da tavolo (fuga dal mondo ordinario). Questa non è una perversione contemporanea ma la realizzazione con gli odierni mezzi tecnici di una ambizione atavica e più specificamente l’adattamento a contesti indoor delle “ragazzate” tipicamente maschili dell’epoca subito precedente. Questo apre possibilità in tutte le direzioni, incluse grandi potenzialità di mercato per l’industria dell’azzardo.

Il contraltare dell’io/avatar è quella parte di realtà che viene classificata dalla mente come mondo esterno. Il mondo esterno è il motore dei meccanismi di apprendimento condizionati dal verificarsi di imprevisti eventi di rinforzo. La curiosità associa un valore ad eventi sorprendenti anche privi di utilità. Nella normale curva di apprendimento di un gioco, la sorpresa lascia il campo alla noia via via che le meccaniche del gioco vengono esplorate e comprese. Le slot machine sono invece costruite in modo da manipolare il mondo in cui il giocatore è immerso fornendogli una serie intermittente e imprevedibile di sorprese e piccole ricompense. In questo modo non c’è mai noia ma non c’è neanche mai apprendimento: è questa la chiave dell’insorgere della dipendenza da azzardo.

Nella parte conclusiva del testo abbiamo accennato al fulcro della trappola: l’inserimento del denaro nel cerchio magico del gioco. L’avatar che si muove nel videogioco conosce il PIN del nostro Bancomat. Il corpo esteso che viene creato dall’interfaccia include una porzione di noi che non è naturale bensì sociale: è l’io contabile, che gestisce il nostro budget e i nostri asset come se la nostra persona fosse un’azienda capitalistica. Azzardo e videogiochi hanno traiettorie che si intrecciano e si contraddicono, ma che possono essere districate con uno sforzo critico.

La storia della diffusione in Italia dei videopoker e poi delle slot multilinea, che dopo aver colonizzato la realtà urbana stanno invadendo quella online, è la storia della moltiplicazione di forme di controllo sociale e di manipolazione mentale a scopo di lucro. La storia della resistenza a tutto questo deve ancora essere scritta. Resistere e sconfiggerli sarà una partita difficile a un gioco così immersivo che ci siamo dentro tutti. E non avremo vite extra come Pac-Man.

Riferimenti

  • Avanzi, Maurizio. «Neurobiologia del condizionamento operante.» Un’analisi operante nell’insorgenza del disturbo da gioco d’azzardo. Milano: AND, ALEA (atti inediti del convegno), 2014.
  • Collettivo Senza Slot. Vivere senza slot: storie sul gioco d’azzardo tra ossessione e resistenza. Portogruaro: Nuovadimensione, 2013.
  • Cooper, Alan, Robert Reimann, e David Cronin. About Face 3: the Essentials of Interaction Design [Gli aspetti essenziali della progettazione delle interazioni]. Indianapolis: Wiley Publishing, Inc., 2007.
  • Dow Schüll, Natasha. Addiction by Design: Machine Gambling in Las Vegas [Progettate per dare dipendenza: il gioco d’azzardo alle macchinette a Las Vegas]. Princeton: Princeton University Press, 2012.
  • Elias, George Skaff, Richard Garfield, e K. Robert Gutschera. Characteristics of Games [Le caratteristiche dei giochi]. Cambridge (USA): MIT Press, 2012.
  • Frith, Chris. Making up the Mind: How the Brain Creates our Mental World [Inventare la mente: come il cervello crea la nostra vita mentale]. Oxford: Blackwell Publishing Ltd, 2007.
  • Huizinga, Johan. Homo ludens: proeve eener bepaling van het spel-element der cultuur [Homo ludens: uno studio dell’elemento di gioco della cultura]. Haarlem: H.D. Tjeenk Willink, 1938.
  • Jenkins, Henry. «Complete Freedom of Movement: Video Games as Gendered Play Spaces [Piena libertà di movimento: i videogiochi come spazi di gioco sessuati].» From Barbie to Mortal Kombat: Gender and Computer Games [Da Barbie a Mortal Kombat: genere e giochi al computer]. Cambridge (USA): MIT Press, 1998.
  • Metzinger, Thomas. Der Ego-Tunnel - Eine neue Philosophie des Selbst: Von der Hirnforschung zur Bewusstseinsethik [Il tunnel dell’io: scienza della mente e mito del soggetto]. Berlino: Berlin Verlag, 2009.
  • Pedercini, Paolo. «Autori e parassiti: il videogioco oltre le major.» Game Bang! Gamerz Talk. Milano: Triennale di Milano, 2012.
  • Santucci, Vieri Giuliano. «Dopamina fasica e apprendimento per rinforzo: possibili applicazioni alla robotica.»Un’analisi operante nell’insorgenza del disturbo da gioco d’azzardo. Milano: AND, ALEA (atti inediti del convegno), 2014.
  • Spil Games. State of Online Gaming Report [Rapporto sul gioco online]. Spil Games, 2013.